NICOLA LECCA E PAOLO COGNETTI VINCONO IL PREMIO VIADANA 2017

NICOLA LECCA E PAOLO COGNETTI VINCONO IL PREMIO VIADANA 2017

di nicolalecca

Viadana

La ventiduesima edizione del Premio Viadana è stata vinta dai romanzi “Le Otto Montagne” di Paolo Cognetti (Einaudi) e “I colori dopo il bianco” di Nicola Lecca(Mondadori)

Paolo Cognetti è stato proclamato vincitore da una Giuria popolare, formata da 120 lettori adulti. Un risultato diverso è seguito allo spoglio delle schede della Giuria giovani che, attraverso le scuole superiori di Viadana, hanno potuto votare i libri in concorso preferendo “I colori dopo il bianco di Nicola Lecca.

Ecco in dettaglio i voti ottenuti da ciascuno dei cinque libri finalisti.

Giuria Popolare (Adulti):

1 – Paolo Cognetti, Le otto montagne, Einuadi punti 410

2 – Raul Montanari, Sempre più vicino, Baldini&Castoldi punti 322

3 – Nicola Lecca, I colori dopo il bianco, Mondadori punti 290

4 – Stefano Valenti, Rosso nella notte bianca, Feltrinelli punti 235

5 – Simona Sparaco, Sono cose da grandi, Einaudi punti 222

Giuria Popolare (Giovani):

1 – Nicola Lecca, I colori dopo il bianco, Mondadori punti 125

2 – Simona Sparaco, Sono cose da grandi, Einaudi punti 113

3 – Raul Montanari, Sempre più vicino, Baldini&Castoldi punti 110

4 – Paolo Cognetti, Le otto montagne, Einuadi punti 97

5 – Stefano Valenti, Rosso nella notte bianca, Feltrinelli punti 78

L’IMPORTANZA DEI BLOGGER

Giunto alla Terza Edizione in meno di tre mesi “I colori dopo il bianco” (Mondadori, 2017) deve buona parte del suo successo al contagioso entusiasmo dei tanti blogger che lo hanno letto e amato.

Qui di seguito ho raccolto per voi alcune fra le  più belle recensioni apparse online:

Janos!

LEGGERE A COLORI

“I colori dopo il bianco è uno di quei libri che ti capiscono, ti parlano e ti regalano le parole di cui hai bisogno”.

http://www.leggereacolori.com/letti-e-recensiti/libri-mondadori/recensione-i-colori-dopo-il-bianco-di-nicola-lecca

BLOG THERAPY  (A cura dello psicologo Enrico Maria Secci)

“Nicola Lecca ne ‘I colori dopo il bianco‘ esercita la qualità più rara dei romanzieri, quella di costruire un racconto salvifico, un libro al cui valore letterario si aggiunge la cura della psiche e dell’anima”.

http://enricomariasecci.blog.tiscali.it/2017/05/19/quando-un-romanzo-e-terapeutico-i-colori-dopo-il-bianco-di-nicola-lecca

IL BELLO DI ESSERE LETTI

I colori dopo il bianco ti  dona qualcosa di veramente speciale: la voglia di rinascere e di sfidare il destino. Che meraviglioso regalo per l’anima è stato questo libro!  Una caramella per la vita!

http://ilbellodiesserletti.blogspot.it/2017/03/recensione-i-colori-dopo-il-bianco-di.html

OUBLIETTE MAGAZINE (a cura di Katia Deborah Melis)

 “I colori dopo il bianco è un inno al coraggio e alla volontà: un’esortazione a non arrendersi, a non sentirsi mai finiti, annientati o sconfitti”.

http://oubliettemagazine.com/2017/03/28/i-colori-dopo-il-bianco-di-nicola-lecca-un-viaggio-tra-le-vie-dellanima-e-i-colori-della-vita/

THE MAD OTTER

I Libri di Nicola Lecca sono talmente travolgenti da lasciare addosso al lettore una seconda pelle che rimarrà con lui per lungo tempo

https://the-mad-otter.blogspot.it/2017/03/recensione-i-colori-dopo-il-bianco-di.html

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BABA BOOKS

Questa è una storia delicata, scritta con cura e sentimento, le parole assomigliano a carezze, i profumi della città sono prorompenti, i colori illuminano gli occhi, i rumori non lasciano scampo“.

 http://desperatebookswife.blogspot.it/2017/02/recensione-i-colori-dopo-il-bianco-di-n.html

RECENSIONE LIBRO 

“Questo libro è travolgente, coglie di sorpresa, perché inizia con leggerezza, descrivendo luoghi e persone nel loro semplice esistere, ma poi Nicola Lecca aggiunge dettagli e spessore conquistando totalmente la testa e il cuore dei lettori“.

http://www.recensionelibro.it/i-colori-dopo-il-bianco-nicola-lecca

BOSTONIAN LIBRARY

I colori dopo il bianco è un caleidoscopio affascinante di persone di passioni e di bellissime vite: e i personaggi prendono posto vicino al tuo cuore.

https://bostonianlibrary.blogspot.it/2017/02/recensione-i-colori-dopo-il-bianco-di.html

Steffi

SUL ROMANZO (a cura di Barbara Scalco)

Dalle pagine de I colori dopo il bianco affiora una luce che proviene dalla stessa vita dell’autore: dal suo amore per la ricerca, la scoperta e l’avventura. Questo romanzo è, in effetti, un tuffo nell’oblio: una ricerca di se stessi nel senso più autentico e pericoloso“.

http://www.sulromanzo.it/blog/rinascere-dal-caos-i-colori-dopo-il-bianco-di-nicola-lecca

THE BROCKFORD POST

 “I colori dopo il bianco è un romanzo che consiglio fortemente, soprattutto a chi è alla ricerca della propria strada verso il futuro e la realizzazione, ma anche a coloro che si sentono spersi, disorientati, in un periodo della propria vita, in cui ci si sente rinchiusi in un tunnel senza luci”.

http://www.brockfordpost.it/i-colori-dopo-il-bianco/

THE READERS GUIDE TO THE LIBRARY

Nicola Lecca è davvero bravissimo a far percepire l’atmosfera e a cogliere l’anima delle città che descrive”.

http://readersguidetothelibrary.altervista.org/recensione-i-colori-dopo-il-bianco-di-nicola-lecca/?doing_wp_cron=1491322608.3189959526062011718750

Laura

MAGAZINE.IRNO

Una full immersion in un mondo di sapori e di colori. Coniugare ghiaccio e fuoco non è mai stato semplice ma Nicola Lecca ci riesce alla perfezione.

http://www.magazine.irno.it/culture/letture/34812-letture-colori-dopo-bianco-nicola-lecca

BOOK SOUNDTRACKS

I colori dopo il bianco è un connubio di colori e sensazioni che ti trascinano

http://blog.icrew-sing.com/news/i-colori-dopo-il-bianco/

ZE BOOK

I colori dopo il bianco è un romanzo sulla ricerca di se stessi e sull’accettazione del proprio passato per ricostruire un futuro migliore

http://zebuk.it/2017/03/i-colori-dopo-il-bianco-nicola-lecca

LUOGHI D’AUTORE

Nicola Lecca è un artigiano della parola, con un profondo rispetto per il suo mestiere e per la ricerca della parola giusta“.

“I colori dopo il bianco”, il nuovo romanzo di Nicola Lecca. Incontriamo l’autore

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L’ULTIMA RIGA (a cura di Federica Tronconi)

Le emozioni di Silke sono un po’ quelle di tutti noi: I colori dopo il bianco racconta una storia universale, che parla di desiderio, destino, vita e scelte sofferte“.

http://www.ultimariga.it/portale/?p=10443

BOOK HUNTERS (a cura di Jessica)

A Marsiglia Silke scoprirà come sta davvero il mondo, quanto si può soffrire, quanto si può cadere in basso, ma anche quanto si può essere liberi di amare e amarsi

http://bookshuntersblog.blogspot.it/2017/01/i-colori-dopo-il-bianco-di-nicola-lecca.html

LA BOTTEGA DEI LIBRI – (a cura di Maura)

Il libro è scritto semplicemente ma in modo molto chiaro ed elegante. Le bellissime descrizioni dei quartieri di Marsiglia, del porto e degli appartamenti sembrano un quadro che si va compiendo“.

http://labottegadilibri.blogspot.it/2017/02/lecca_16.html

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THE OPINION LEADER 

Con una lingua semplice, ma potente, lo scrittore ci racconta una storia di coraggio e rinascita e pagina dopo pagina anche il lettore viene trasformato dalla forza di Silke“.

http://www.theopinionleader.eu/i-colori-dopo-il-bianco/

CRITICA LETTERARIA – (a cura di G.M.Ghioni)

Descritta con tanta vivezza che pare di vederla, Marsiglia si pone come continua metafora di un Eldorado da conquistare ogni giorno, a costo di correre rischi e mettere in dubbio anche gli affetti dati per scontati. La posta in gioco è alta: provare l’annichilente estasi della felicità”.

http://www.criticaletteraria.org/2017/01/i-colori-dopo-il-bianco-nicola-lecca-mondadori.html

 

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(La foto è di Jed Smith)

I COLORI DOPO IL BIANCO – La rassegna stampa.

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(Il manoscritto de “I colori dopo il bianco” fotografato da Jed Smith)

 

GRAZIE A TUTTI I GIORNALISTI CHE HANNO LETTO E AMATO “I COLORI DOPO IL BIANCO”

 

IL CORRIERE DELLA SERA (La Lettura)
“Nicola Lecca sa far incontrare due opposti, manovrando con destrezza un registro da fiaba contemporanea, semplice e curato nello stile e ottimo nella costruzione della trama tra incastri precisi e lo svelarsi ben dosato del passato dei personaggi.”

(Alessandro Beretta)

AVVENIRE

“Bellissimo libro, bellissimo titolo, bellissima copertina.”

(Cesare Cavalleri)

 

FAMIGLIA CRISTIANA

“Una scrittura perfetta”

(Roberto Carnero)

IO DONNA 

“Lasciatevi guidare dal romanzo di Nicola Lecca perché il bianco è la perfezione ma i colori mostrano tutte le possibilità”

(Chiara Gamberale)

LIBERO

“Con la magnifica descrizione di Marsiglia Nicola Lecca ci restituisce un mondo pieno di luci e di ombre in cui, però, sopravvive la speranza e resiste ancora un reperto archeologico chiamato solidarietà umana”. (Felice Modica)

AGI – Agenzia Giornalistica Italia

“I colori dopo il bianco ambisce a essere un libro universale che non appartiene a nessun luogo eppure li racconta tutti”.

(Ugo Barbàra)

 

REPUBBLICA (Robinson)

“Lasciare tutto, sparire. Cercare una città che sia l’esatto opposto di quella in cui si è nati”

(Fabio Galati)

GRAZIA

“Quanta voglia di visitare Marsiglia fa venire questo ispirato libro di Nicola Lecca, autore bravo, più conosciuto all’estero che in Italia….”

(Valeria Parrella)

LA CUCINA ITALIANA

“Nicola Lecca è un orafo della parola: il suo linguaggio un gioiello in filigrana”.

(L. Forti)

LA STAMPA (TTL)
“I colori dopo il bianco” è un romanzo che sembra scritto da una voce estranea, al di sopra dell’autore e dei personaggi.”

(Angelo Gugliemi)

BELL’EUROPA

“I colori sono quelli di Marsiglia, città multietnica piena di profumi e suggestioni, ma anche di insidie nascoste”

(Elena Magni)

LA GAZZETTA DI MANTOVA

“Emozionante e da rileggere”

(Andrea Setti)

 IL ROMA

“Nell’ultimo romanzo di Nicola Lecca una diffusa componente meditativa si incontra con immagini sorprendenti” (Giuseppe Amoroso)

DACIA MARAINI

“I colori dopo il bianco è un libro scritto con molta sapienza: ti fa viaggiare nel tempo e nello spazio: ti fa conoscere una città vulcanica come Marsiglia e due personaggi femminili molto intensi che scoprono la solidarietà e l’amicizia.”

 

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“I colori dopo il bianco”, il nuovo romanzo di Nicola Lecca. Incontriamo l’autore

LUOGHI D'AUTORE

Un artigiano della parola, con un profondo rispetto per il suo mestiere, per la ricerca della parola giusta. Uno scrittore moderno che sui social si concede generosamente condividendo e commentando riflessioni, viaggi e momenti. Rispondendo a tutti e rendendo tutti partecipi, Nicola Lecca riesce a coniugare in maniera sapiente modernità e tradizione, come la sua difficile professione oggi richiede e questo, insieme alla scrittura elegante e nitida e alle storie profonde e avvincenti dei suoi romanzi, ce lo rende particolarmente caro.

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I COLORI DOPO IL BIANCO

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DAL 24 GENNAIO IN LIBRERIA PER MONDADORI

Silke non ne può più di Innsbruck, della sua casa sontuosa e di una società dominata dalle regole e dall’apparenza. Sfinita dal controllo e dalle aspettative di genitori severissimi, sceglie di fuggire a Marsiglia. Alla soffocante presenza delle montagne sostituirà presto l’orizzonte aperto del mare, al rigore delle regole la spontaneità dell’immaginazione, alla gelida efficienza di una città spietata l’avventurosa creatività di un porto in cui l’imprevisto e la sorpresa abbondano come lo zucchero nelle torte. Fin dal primo istante, Marsiglia attirerà Silke in un alveare di esistenze complicate, curandola dalla solitudine e includendola nel suo enorme “tutto”: che sconvolge e spaventa, emoziona e commuove. Ragazza, ma non ancora donna, Silke s’incontrerà finalmente col mondo. Sarà un incontro pieno e totale capace di mettere in discussione il suo passato, per rivelarle ciò che conta davvero. In una Marsiglia solare, traboccante di vita e di colori, Silke viaggerà alla scoperta di sé, imparando pian piano ad amarsi e a riconoscere il valore della propria esistenza, senza più dipendere dall’opinione degli altri.

Di questo parla il mio nuovo romanzo.

Dopo 4 anni di appassionato lavoro non vedo l’ora di emozionarvi!

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BUONA LETTURA!

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LA CANTATRICE CALVA

Rifugiarsi nell’assurdo aiuta ad accettare la crudezza della realtà

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“Quando ci si raffredda bisogna prendere dei valzer. È una precauzione inutile, ma assolutamente necessaria”. In questa Anti-Commedia per sottotitolo, leggere il giornale su un tram è un gesto improbabile. Al contrario, paragonare un pompiere a un confessore sembra un atto dovuto. Insomma:  ciò che è normale diventa assurdo, e ciò che è assurdo diventa normale.

Quando, nel 1950, la cantatrice calva apparve sul palco del Théâtre des Noctambules suscitò scandalo e stupore. Alla pirandelliana condanna della maschera, si erano aggiunte le acrobazie di parole: plasmate, modellate e deformate pur di evocarne le più nascoste potenzialità. Si era aggiunta anche una preziosa ostentazione della banalità e di quei luoghi comuni capaci di ritrarre cinicamente gli aspetti più scontati di una società alla deriva, ormai incapace di qualunque spontaneità pur di seguire il gregge. Scena Prima: “Interno borghese inglese, con poltrone inglesi. Serata inglese. Il Signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese, accanto a un fuoco inglese”. Seguirà il delirante monologo di sua moglie sull’insalata di patate, e ci sarà anche un pompiere che, depresso per i pochi incendi , affermerà con rammarico: “Gli stranieri naturalizzati hanno il diritto di possedere case ma non quello di farsele spegnere quando bruciano”. E c’è anche il droghiere rumeno Popesco Rosenfeld appena arrivato da Costantinopoli. La signora Smith lo descrive così: “È un gran specialista in yoghurt. È diplomato alla scuola dei fabbricati di yoghurt di Adrianopoli. Domani andrò da lui  a comprare una grossa pentola di yogurt rumeno folkloristico. Non si trovano cose così nei dintorni di Londra”.

A 65 anni dalla sua prima rappresentazione, la superficiale vena polemica della famiglia Smith somiglia a quella degli odierni talk show politici che, lungi dall’avere pretese d’eternità, anziché glorificare l’assurdo lo rappresentano in maniera sempre più insensata.

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Stig Dagerman e i suoi racconti perfetti

IL MIO LIBRO PREFERITO?

Si intitola “Il Viaggiatore”e lo ha scritto lo svedese Stig Dagerman.

“Era un volto allungato e stretto, trasparente come una mela Astrakan, solcato da aristocratiche rughe sottili che avevano da tempo perso ogni significato. La fine rete di grinze intorno alla bocca era come un cimitero di vecchi sorrisi”.

Stig Dagerman

Sono cinque pagine soltanto: ma, da sole, bastano a sancire la grandezza di un genio.

Sono cinque pagine soltanto: ma ogni loro parola ha la caratura del diamante.

A scriverle è Stig Dagerman, autore svedese morto suicida a trentun anni.

Il racconto si intitola “Uccidere un bambino” e fa parte della raccolta “Il Viaggiatore” pubblicata in Italia da Iperborea, e già ristampata una decina di volte.

Stig Dagerman 2

“È la mattina felice di un giorno infausto perché in questo giorno un bambino sarà ucciso da un uomo felice.”

Parole taglienti: almeno quanto quelle di Kafka e di Camus.

“Sulla tavola ci sono il caffè, il pane, la panna e le mosche. Manca soltanto lo zucchero. E la madre dice al suo bambino di correre dai Larsson a prendere in prestito qualche zolletta (…) I Larsson non abitano lontano, appena dall’altra parte della strada e mentre il bambino l’attraversa correndo, la piccola automobile blu entra nel secondo villaggio”.

Se oggi non fosse finito lo zucchero questo bambino potrebbe continuare a vivere.

Nel frattempo, alla guida di un’auto scintillante, c’è un uomo: “Non è certo un uomo cattivo. Ma ha fretta di arrivare al mare. Non farebbe male a una mosca, ma tra qualche istante ucciderà un bambino (…)  Perché la vita è congegnata così spietatamente che un minuto prima di uccidere un bambino un uomo felice è ancora felice: e nell’ultimo minuto di vita di un bambino i suoi genitori possono stare seduti in cucina ad aspettare lo zucchero e a parlare dei suoi denti bianchi”.

E dopo? Dopo è troppo tardi. È troppo tardi per tutto.

“Dopo vi sono delle zollette di zucchero bianche assurdamente sparse nel sangue e nella ghiaia”.

Dopo ci sono una madre e un padre impietriti dal dolore: condannati a soffrire in eterno.

Perché: “Non è vero che il tempo guarisce tutte le ferite. Il tempo non guarisce le ferite di un bambino ucciso ed è molto difficile che guarisca il dolore di una madre che ha dimenticato di comperare lo zucchero e manda suo figlio dall’altra parte della strada a chiederlo in prestito”.

“Il viaggiatore” di Stig Dagerman è pubblicato in Italia da Iperborea.

http://iperborea.com/titolo/23/

Buona lettura a tutti voi

Nicola Lecca

NON HAI ANCORA LETTO I MIEI LIBRI?

Il manoscritto di "Hotel Borg"

Scrivo a penna i miei romanzi

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Buona lettura a tutti voi!

Nicola

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Questo articolo su Neoneli è stato in precedenza pubblicato su “L’Unione Sarda”

 

NEONELI, LA PROVENZA IN SARDEGNA

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C’era solo un modo per scoprire se Neoneli meritasse a pieno titolo la sua fama di “Provenza della Sardegna”: trattenersi a lungo ad Avignone, Aix-en-Provence e Orange, e poi, subito dopo, prendere l’aereo: atterrare a Cagliari e visitare questo piccolo paese ai confini fra la provincia di Nuoro e quella di Oristano: per verificare di persona, con le recenti emozioni provenzali ancora fresche nella memoria, l’effettiva validità di tanta ambizione.

Dunque, l’ho fatto.

Neoneli è un paese antico, conosciuto ai più per i suoi Tenores, ma dimenticato da troppi e sottovalutato, forse, anche dai suoi stessi abitanti i quali, spesso, sembrano non rendersi conto della meraviglia e dell’incanto che il destino mette ogni giorno a loro disposizione con abbondante generosità. La trachite rosa che costituisce quasi tutte le case del centro storico rende Neoneli un luogo arcaico, ma gentile. Severo, eppure disposto ad accogliere la primavera fin dentro ai più remoti interstizi delle proprie pietre. Il resto lo fa una campagna densa di asfodeli fioriti, erica, germogli di fico, peri selvatici, e vigneti che, a perdita d’occhio, si risvegliano dal torpore invernale come farfalle che spuntano dai loro bozzoli.

Tra le righe

Neoneli, il paese rosa.

Ci sono poi le donne: che si ritrovano armate di piumini colorati a spolverare con religiosa devozione le statue di Cristo e della Madonna custodite nella chiesa parrocchiale di San Pietro, c’è la polizia barracellare che vigila sui ladri di bestiame (ma tiene anche pulite le strade), e ci sono i circoli di paese con il televisore grande e le notizie di cronaca nera commentate a voce alta dai presenti. Colpevole? Innocente? Ladro? Assassino?  Le opinioni, diversissime, vengono dibattute a voce alta fino a coinvolgere, talvolta, la figura del banconiere.

In pieno stile British c’è una selezione inaspettatamente variegata di tè raffinati.

E, poi, il silenzio, i profumi, i raggi del sole a pizzicare il volto, la frescura protetta dalle secolari mura della chiesa, l’aria di montagna, i greggi ordinati, la struggente nodosità delle querce, le fontane d’acqua gelida, gli inattesi pozzi, i numeri civici fiammanti  (scritti in blu e bianco), le case disabitate dall’uomo (ma non dalla natura) gli intonaci azzurri alle pareti (il cielo in una stanza), la piazza del mercato, i sentieri nel bosco, una piccola upupa, i cinghiali e i cervi protetti dal parco di Assai, il sughero (saggio ma non stanco), gli enormi buoi al pascolo, gli alberi grondanti di limoni (che hanno un sapore sconosciuto ai clienti dei supermercati), le donne anziane con le caviglie grosse, la fila dal pescivendolo (che apre solo due volte a settimana), i lunghi tragitti in automobile pur di accedere a un bancomat, a una lavanderia, o magari a una palestra, il sapore forte del vino locale, l’assenza di ogni superflua modernità, il fumo che fila via dai camini accesi nonostante la stagione, le pardule appena sfornate dalla vicina, il pane fatto in casa (che profuma d’infanzia e di nostalgia) la bottega di signora Antonietta con la bilancia ottuagenaria e i detersivi lontani dagli alimentari “come vogliono le guardie”.

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Pecorelle in festa a Neoneli

E, ancora, le feste in maschera nella lindissima scuola materna, il velo candido della suora, la timidezza dei bambini di terza elementare, i loro sogni semplici: il desiderio di diventare cavalieri, suonatori di organetto, o, magari, poliziotti. Le cene semplici delle famiglie numerose: un tegame di pasta e fagioli, il camino accesso, la nonna anziana che tossisce e, comunque, nonostante tutto, l’armonia che regna.

Neoneli è così: un guscio privilegiato. Uno scrigno di semplicità e di bellezza che non solo assomiglia alla Provenza, ma con lei può perfino gareggiare.

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Neoneli: la Provenza è in Sardegna!

Certo: è proprio così! Solo che a Neoneli non ci sono alberghi e quindi esiste il privilegio di poterla visitare senza l’infernale calca dei turisti che intasa Aix-en-Provence, volgarizzandone il fascino millenario, violentato a ogni angolo da pacchiani negozi di souvenir, da fontane medievali utilizzate per tenere in fresco le bottiglie di champagne venduto nei troppi bistrot che, come parassiti, infestano la città spingendo i loro rigatoni al sugo a millimetri dalle secolari mura della cattedrale.

Ebbene: a Neoneli questo aspetto oscuro della Provenza non c’è. Ecco perché la sua anima è perfino più pura, più autentica, più forte e più distillata.

Certo: qui non troverete il Palazzo dei Papi e nemmeno il Teatro romano di Orange. Né ci saranno arene ad accogliervi, o resti di terme imperiali.

Eppure ci sarà l’incanto dell’atmosfera provenzale: con in più un asso nella manica.

Si tratta de “Sa Crabarissa” una fra le più emozionanti rocce della Sardegna. Una pietra enorme, granitica, e custode di una suggestiva leggenda popolare.

Crabarissa

Sa Crabarissa

Si narra infatti che, tanto tempo fa, durante la transumanza invernale, un pastorello di Austis si innamorò di una ragazza di Cabras. I due si giurarono amore eterno e si scambiarono i doni di fidanzamento per suggellare la loro unione.

In seguito, con l’arrivo della bella stagione, la ragazza di Cabras affrontò un lungo e faticoso viaggio pur di giungere ad Austis, incontrare il suo fidanzato e unirsi a lui in matrimonio. Purtroppo, però, giunta in paese, non tardò a scoprire che il bel pastorello, nel frattempo, si era sposato con un’altra donna.
Il dolore e la disperazione furono tali che la ragazza si pietrificò all’istante.

Oggi “Sa Crabarissa” con i suoi cinquanta metri di imponenza è una roccia granitica in bilico tra il confine di Austis e quello di Neoneli. La sua forma richiama alla mente il costume popolare indossato dalle ragazze di Cabras.

Avere il privilegio di poterla ammirare dal vero è un’esperienza doverosa verso le nostre possibili emozioni.

Il fatto che la roccia sia contesa tra il comune di Austis e quello di Neoneli (dal momento che pare trovarsi esattamente in bilico tra i due territori) è un fatto tutto sommato irrilevante per l’anima: ma comunque capace di accalorare gli animi dei paesani che, come è giusto che sia, tentano di contendersi la paternità de “Sa Crabarissa” in una sorta di diatriba che, per fortuna, nulla toglie alla potenza e alla forza del suo incanto, inspiegabilmente sfuggito all’attenzione dell’Unesco: che non sbaglierebbe a inserirla come Patrimonio dell’Umanità nel suo prestigioso elenco, generosissimo d’attenzione verso la Provenza, ma (bisogna pur dirlo) assai negligente verso le meraviglie della nostra amata Sardegna.

NICOLA LECCA

© Nicola Lecca – Tutti i diritti di foto e testi riservati e trattati in esclusiva da “The Italian Literary Agency”  di Milano.

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Buona lettura a tutti voi!

Nicola

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Questo reportage su Neoneli è stato in precedenza pubblicato su “L’Unione Sarda”

 

MOLIVOS E L’ISOLA DI LESBO

 

Lesbo 3 Molivos

Cespugli ispidi, spinosi: e nonostante tutto armoniosi grazie ai loro fiori viola e gialli dai petali sottili, ormai trasparenti e quasi privi d’acqua: come fossero già secchi. Il profumo intenso della macchia mediterranea riarsa dal sole regna.  S’incontrano lucertole dagli occhi gialli strisciare lungo muretti a secco diroccati. E ancora: ragni pazienti e asini solitari, incapaci di provare emozione davanti al rosso travolgente del tramonto.

Molivos è una città dai mille scalini, tutti antichi e irregolari, desiderosi di arrampicarsi per la montagna a strapiombo sul mare. Strade non ce ne sono: ma soltanto continue scalinate un po’ sconnesse capaci di offrire una vista straordinaria sul piccolo porto della città e sulla baia della vicina Petra.

In cima, il vecchio castello incombe su tutto come un padre stanco.

A Molivos i tetti delle case diventano protagonisti e i tanti alberi di fico vestono ogni scorcio d’armonia. Tutto è casualmente disposto: ma talmente in armonia con il paesaggio circostante da sembrare il frutto d’un lungo studio scenografico.

Gli alberi e i pergolati di glicine abbondano ovunque.

 

Lesbo - Molivos

Ogni tanto, fra le antiche casette in pietra (che mostrano con orgoglio il loro vecchio contatore della corrente elettrica) s’incontra una piccola bottega. Il cartolaio ha la barba folta ed è intento ad aggiustare una vecchia sveglia a carica. Mentre ascolta musica jazz sembra non preoccuparsi che la polvere e il caos regnino ormai da anni nel suo negozio. Un vecchio televisore, frattanto, trasmette le immagini senza audio di un cartone animato d’altri tempi.

Le cartoline costano 33 centesimi. Un prezzo biblico.

Tutto è in salita o in discesa. Visto dall’alto il porto di Molivos è incantevole: soprattutto al tramonto quando il sole gli si avvicina, fino a sfiorare il pelo dell’acqua con i suoi raggi ormai stanchi.

Le porte delle case sono spesso aperte e le famiglie vivono pubblicamente i loro disaccordi.

Una bambina indossa una maglietta rosa sporca di gelato e gioca con un gattino nero che ha gli occhi ammalati e quasi completamente chiusi dall’infezione. A quest’ora della sera una piacevole brezza s’insinua fra le stradine della città a rinfrescare la calura lasciata impressa dall’afa pomeridiana.

 

Nature in Molivos (4)

Per le strade, tutte le dimensioni appaiono molto piccole. I caffè addirittura minuscoli con i loro pochissimi tavolini strettamente affiancati: ma capaci di offrire una vista da sogno sulla baia.

Nessuno sembra avere fretta. A Molivos la gente se la prende comoda. Anche perché, quest’anno, ci sono davvero pochi turisti.

Le trattorie sistemano i loro tavolini traballanti lungo le stradine in salita. Ai gatti questo piace: già li si vede prendere posto vicino alle tante seggiole e pregustare nell’aria le delizie in cottura per la cena.

Uno dei cuccioli non ha un occhio: “One eyes no” sottolinea in un inglese approssimativo un anziano signore.

Per gli amanti dei luoghi comuni, ad allietare le cene dei turisti ci sono i suonatori di mandolino e i ristoratori piantano i gerani nelle latte vuote del formaggio “Feta” – forse per risparmiare qualche soldo sui vasi  o, magari, perché così è molto più caratteristico.

“Pane fatto in casa” recita un cartello. Basta bussare alla porta per concludere l’affare.

 

The long walk to Scala Sicaminea

Il negozio di giocattoli si trova accanto a un gigantesco oleandro dai fiori rosa. Al piano di sopra abitano i proprietari. L’anziana donna che lo gestisce indossa una lunga gonna nera – inspiegabile con tanto caldo – e pulisce ossessivamente con una scopa di riso il piccolo cortile che si trova davanti alla sua rivendita: quando ha finito si disseta bevendo la Retsina direttamente dalla sua bottiglia. Una bevanda perfetta al tramonto: dopo tanta fatica rinfresca, e mette subito di buon umore!

Proprio accanto a lei, il cartello scritto a mano di una trattoria annuncia che i saraghi, oggi, sono freschissimi: e che costano meno del previsto.

Il barbiere lavora in canottiera, in una bottega che offre una generosa vista sul golfo. Il rumore rapido delle sue forbici risuona nel vicolo deserto che è tutto un groviglio di pali della luce e di fili elettrici, penzolanti e malamente collegati alle abitazioni. I tralicci ospitano nidi di rondini che hanno un bel da fare a nutrire i loro affamati piccoli: sempre pronti – quando la madre ritorna – a spalancare la bocca per assicurarsi la maggior porzione di cibo possibile.

È tempo di ritornare in albergo. La camera è spartana, ma pulita. La spiaggia dista venti passi. È c’è anche una piccola piscina.

In lontananza si possono vedere soltanto la luna, un asino legato a un albero d’ulivo  e un monastero.

L’aria condizionata non c’è: si dorme con la finestra aperta. Cullati dai sereni rumori della notte.

Molivos - Views (3)

Alle sette e quaranta dell’indomani mattina, Molivos comincia a popolarsi. Per le sue stradine in pietra, s’incontrano anziane signore rigorosamente vestite di nero e ben pettinate: una di loro tiene in mano un enorme portafogli pieno di fotografie e di scontrini, ma assai povero di denaro.

D’improvviso un contadino appare con il suo carretto, trainato da un asino ormai rassegnato a una vita di sacrificio. Strilla: “Zucchine! Melanzane! Peperoni!” Accanto a lui si raduna subito una piccola folla. Per la gioia dell’asino le vendite sono frequenti e il carretto – a poco a poco – s’alleggerisce.

Il caffè municipale è ospitato in una casetta color prugna. La cameriera è piuttosto sciupata: ma nonostante tutto ha gli occhi felici. Serve il caffè greco a un signore che si è portato un panino da casa e che si è seduto sulla terrazza a contemplare in silenzio la linea dell’orizzonte.

The long walk to Scala Sicaminea (5)

Il caffè greco è denso: viene servito bollente. In tazze molto spesse.

D’intorno l’influenza della vicinissima Turchia si dimostra nella piccola architettura delle case.

Il signore, intanto, ha finito il suo panino: ha preso in mano il rosario e ha cominciato a pregare.

La serenità del suo sguardo e la preziosa frescura di quel momento ritornano in mente con nostalgia alle tre del pomeriggio: quando il sole si conficca nel cervello con la minaccia di farlo evaporare del tutto.

Si cercano disperatamente un albero e un pergolato. Ma niente!

Non c’è nulla da fare: di ombra neanche l’ombra. Si è sempre in pieno sole.

 

Nicola Lecca

(Testo e foto di Nicola Lecca © Tutti i diritti riservati “The Italian Litareary Agency”)

Questo reportage è stato pubblicato in precedenza su “L’Unione Sarda”

 

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Buona lettura a tutti voi!

Nicola

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UNO SCRITTORE SARDO INNAMORATO DEL MONDO

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CAMERA CON VISTA A BERLINO!

Sono convinto che il fatto di essere uno scrittore sardo non abbia nulla a che vedere con lo scrivere di Sardegna: ma che, invece, sia un valore più nobile, testimoniato da ben altre evidenze. Essere uno scrittore sardo, per me, significa nascere su quest’isola: viverne le tradizioni, l’isolamento e l’orgoglio, ma anche le contraddizioni più aspre.

Fino a oggi non mi è ancora capitato di ambientare in Sardegna nessuno dei miei romanzi. Dovrei sentirmi un traditore? Una pecora nera? Certo che no: anzi, sono convinto che chi ha scelto di ambientare ossessivamente i propri romanzi in Sardegna non sia affatto più sardo di me. Essere sardo, al contrario, significa poter vantare un’esperienza di vita, una malinconia, uno sguardo particolare verso il mondo. Fateci caso: un sardo che racconta lo fa sempre e inevitabilmente da sardo – e non importa che stia parlando della propria terra o di un qualsiasi altro luogo.

Com’è il resto del mondo visto da un sardo? Quali similitudini e quale diverso isolamento trova lo scrittore sardo in un’isola molto lontana e molto diversa dalla sua: l’Islanda? Al contrario: con quali parole lo scrittore inglese che abbia trascorso soltanto qualche giorno nella città Cagliari riuscirà a descriverne l’atmosfera?

In un forum pubblicato su Internet ho letto: “Umberto Eco è di Alessandria: non per questo ambienta i suoi libri in Piemonte”. Subito ho pensato: “Meno male!”.

In Sardegna, invece, si ha la sensazione che uno scrittore sia considerato più sardo se, nei suoi libri, si limita a raccontare quasi esclusivamente l’isola in cui abita, a costo di tenere fuori tutto il resto del mondo. Questa convinzione, a mio parere, è molto provinciale e non porta da nessuna parte: perché se ogni scrittore si fosse occupato soltanto di casa sua la letteratura, oggi, non avrebbe il grande valore universale che ha: Pasolini non avrebbe raccontato l’India, “La morte a Venezia” di Thomas Mann non esisterebbe, e il polacco Conrad non avrebbe scelto la lingua inglese per scrivere i suoi romanzi.

Io, in verità, mi sento tanto sardo quanto tutti gli altri scrittori della mia terra e sono convinto che nei miei libri ci sia molta più Sardegna di quanto, in genere, si pensi. Ho vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza a sette chilometri da un aeroporto. Appartengo a una generazione nuova: una generazione che, fin da giovane, ha potuto viaggiare con facilità e senza troppe complicazioni. Sono sempre stato curioso del mondo e, finora, ho abitato in molte città europee: le ho conosciute tutte per davvero, le ho sentite mie e, dentro di me, ho potuto confrontarle con la mia Sardegna. È stata un’esperienza formante: e penso che, se non avessi viaggiato e fossi rimasto sempre chiuso nello stesso posto, oggi sarei una persona peggiore. Fortuna che quando ero un ragazzino confuso e mi sentivo in colpa perché la mia ispirazione mi portava in Francia e non a Oristano, il mio maestro Mario Rigoni Stern mi ha rasserenato dicendomi: “Non pensare mai che nei tuoi libri la Sardegna non ci sia: perché, invece, ce n’è tanta: ma è nascosta tra le righe…”.

Insomma: essere uno scrittore sardo, a mio avviso, non significa dover necessariamente parlare sempre e solo di Sardegna e ogni tanto (magari per strizzare l’occhio alla moda imperante) infilare nel testo una o due parole in lingua sarda, o in un sardo addirittura inventato.

Al contrario significa scrivere con onestà e assecondare la propria libera ispirazione.

Se Grazia Deledda ha avuto il Nobel, è stato per la sua straordinaria capacità di sondare l’animo umano, di osservare il mondo e di saper creare personaggi universali: non certo per aver ambientato molti dei suoi romanzi in Sardegna. Insomma: ciò che veramente importa è che uno scrittore sia sempre e comunque libero di raccontare quel che più desidera e che le sue opere siano frutto della spontaneità, e mai del calcolo e dell’opportunismo. Altrettanto importante è che uno scrittore non si senta mai limitato dalle proprie origini e che, anzi, la sua terra non rappresenti il punto d’arrivo della sua ispirazione, ma, semmai, un punto di partenza privilegiato: aperto verso le infinite possibilità dell’esperienza umana.

Il fatto che Grazia Deledda abbia ambientato molti scritti lontano dalla Sardegna non è certo un dato negativo del suo essere sarda: anzi, è senz’altro un pregio che testimonia la varietà della sua produzione narrativa.

La curiosità verso il mondo e verso gli altri, del resto, è sempre stata sinonimo di grandezza. Scriveva Erodoto più di duemila anni fa: “Ogni anno rischiamo vite e sosteniamo alti costi per mandare le nostre navi in Africa e domandare: “Chi siete? Quali sono le vostre leggi? Che lingua parlate?. Loro non hanno mai mandato una nave per fare le stesse domande a noi”.

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Buona lettura a tutti voi!

Nicola

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